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Nel primo dopoguerra un remoto paese dell'America Latina, fino a quel tempo ignorato anche dai maggiori flussi migratori transatlantici, fu sul punto di divenire una sorta di protettorato italiano. Ricostruita attraverso la documentazione reperita negli archivi diplomatici, militari ed economici, l'attività complessivamente condotta dall'Italia in Ecuador rappresenta una delle pagine storiograficamente meno note dell'immaginifica politica estera e di espansione economica del periodo liberale. Stimolato dalla realizzazione del canale di Panama, che conferì improvviso rilievo strategico a quel paese, così come dalle sue non trascurabili potenzialità di sviluppo, che suggerirono numerosi progetti di investimento e di colonizzazione demografica, l'interesse italiano fu promosso sul campo da una missione militare che, destinata a protrarsi fino al secondo conflitto mondiale, acquisì in certi frangenti una rilevante influenza sulle vicende politiche ecuadoriane, e dall'élite tecnico-economica inviata nelle Ande con i capitali della Banca Commerciale Italiana ed ispirata dal modello espansionista già praticato da Giuseppe Volpi nei Balcani. Tali ambiziosi piani vennero ereditati dal fascismo, che li reinterpretò strumentalmente alle finalità politiche perseguite dal regime in America Latina.